La rinuncia all’assegno di mantenimento in sede di separazione preclude in ogni caso la futura domanda di assegno divorzile?

Nonostante, a seguito della cd. Riforma Cartabia, sia stata introdotta la possibilità di cumulare la domanda di separazione con quella relativa alla successiva pronuncia del divorzio, l’assegno di mantenimento e quello divorzile rimangono fondati su presupposti differenti e quindi implicano anche accertamenti differenti.

Nelle separazioni consensuali non di rado vengono stipulati (ed omologati) accordi nei quali i coniugi dichiarano di essere in grado di provvedere autonomamente alle loro esigenze di vita.

Si potrebbe ritenere che tale pattuizione precluda di poter avanzare domanda di assegno divorzile in sede di successivo divorzio e pertanto si generano talvolta controversie nelle quali, a fronte della domanda, l’altro coniuge la respinga utilizzando come argomentazione proprio la rinuncia al mantenimento in sede di separazione.

In realtà questo automatismo preclusivo non esiste.

Lo ha ben chiarito la Cassazione civ., Sez. I con l’ordinanza n. 28483 del 30/09/2022, che ha respinto la richiesta di un marito volta a riformare le sentenze di primo e secondo grado con le quali era stato riconosciuto il diritto all’assegno divorzile alla coniuge, in presenza della prova dei relativi presupposti.

Il ragionamento della Corte parte proprio dalla differenza corrente fra assegno di separazione e di divorzio: “Ed invero, l’assegno di separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale, e, conseguentemente, la correlazione dell’adeguatezza dei redditi con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio -ex multis, Cass., n. 12196 del 16/05/2017.

Al contrario tale parametro non rileva (più) in sede di fissazione dell’assegno divorzile, che deve invece essere quantificato in considerazione della sua natura assistenziale, compensativa e perequativa, secondo i criteri indicati alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, essendo volto non alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito, dall’ex coniuge beneficiario, alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass., n. 17098 del 26/06/2019; Cass., n. 5605 del 28/02/2020), senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge (ex multis, Cass., n. 21234 del 09/08/2019)“.

Dalla diversa considerazione e consistenza dei due emolumenti la Corte ha quindi fatto conseguire la correttezza della decisione impugnata, che, sostituendosi ai provvedimenti adottati nel giudizio di separazione, riconosceva l’assegno divorzile alla coniuge resistente, prescindendo dalla preventiva rinuncia da parte della coniuge ad un contributo economico in sede di separazione, correttamente ritenuta dai giudici di merito del tutto irrilevante.

Sul punto è sufficiente rilevare che gli accordi in sede di separazione non potevano in alcun modo vincolare la decisione del giudice del divorzio circa il regime giuridico-patrimoniale degli ex coniugi, per due ordini di motivi ribaditi dalla Cassazione:

1) “Ed invero, la circostanza che nessuna delle parti avesse in quella sede chiesto un assegno non escludeva che successivi mutamenti della situazione patrimoniale di una delle due potessero giustificarne la richiesta di corresponsione a carico dell’altra (Cass., n. 15064 del 09/10/2003) e tanto in considerazione della natura e funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come di quelli attinenti al regime della separazione, che postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto (Cass., n. 29290 del 21/10/2021; Cass., n. 19020 del 14/09/2020 e Cass., n. 3925 del 12/03/2012)”.

2) “Gli accordi con i quali i coniugi fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perché stipulati in violazione del principio fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne consegue che di tali accordi non può tenersi conto ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, non solo quando limitino o addirittura escludano il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva pattuizione potrebbe influenzare il consenso al successivo divorzio” (cfr. Cass., n. 20745 del 28/06/2022; Cass., n. 2224 del 30/01/2017; Cass., n. 1810 del 18/02/2000)”.

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